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S. AGATA 

La festa del popolo catanese tra sacro e profano

Catania ogni anno si trasforma in una delle più belle scenografie naturali per i festeggiamenti della sua santa patrona, S. Agata. La festa è considerata la terza in ordine di importanza e partecipazione al mondo, dopo la Settimana Santa di Siviglia e la festa del Corpus Domini di Guzco in Perù. 

Sono affascinato dallo spettacolarità della festa in sè, ma soprattutto quello che mi incuriosisce è fermare in un istante i volti, le espressioni dei "devoti", il loro mettere in opera il sacrificio per la santa. I devoti sono il popolo di S. Agata, girano per le strade portando in spalla i ceri votivi, le candele che simboleggiano la luce e la devozione. Ci sono devoti che attendono un segnale, altri che urlano"cettu cettu" rispondendo al caratteristico richiamo dei devoti "cittadini, cittadini, semu tutti devoti tutti?". Altri devoti parlano l'uno con l'altro per occupare l'attesa snervante, altri trasportano le candelore, un ragazzino pulisce il proprio cero e nel mentre mi guarda fisso negli occhi come a volermi dire che essere devoto significa essere diventati grandi. Portare il cero significa per un devoto esprimere esteriormente un voto e manifestare la loro riconoscenza alla santa per una grazia ricevuta. Secondo la tradizione infatti il peso del cero deve essere proporzionato o uguale al peso del devoto che lo trasporta sulle proprie spalle. Ci sono devoti che trasportano ceri più pesanti del dovuto, così grandi che non riescono nemmeno ad abbracciarli, altri che per via della loro non più giovane età hanno bisogno di riposarsi. E lo fanno tutti. Giovani e vecchi, donne e bambini, come se fosse una prova d’iniziazione.

 

Ogni anno questa festa religiosa rappresenta per i catanesi un'occasione di riscatto dai dolori e dalle sofferenze della vita quotidiana, un momento per salire alla ribalta e diventare protagonisti, riconciliarsi con la propria identità e manifestare l'appartenenza ad una comunità attraverso la condivisione di determinati valori.

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