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San Berillo a luci spente

Un quartiere che vuole rinascere

di Dario Lo Presti

 

“Vent’anni fa era tutto diverso. In questo quartiere c’era tanta gente e allora sì che si lavorava e si campava meglio!”, risponde così Mary, prostituta nata e residente a San Berillo, spronata dalle domande riguardanti i problemi del quartiere. Ci si chiede se sia realmente cambiato qualcosa, ma la risposta di chi vive in questa zona è eloquente: “e chi canciau nenti, non canciau nenti!".

 

San Berillo non è soltanto degrado, miseria e prostituzione. C’è voglia di riscatto e gli abitanti hanno dimostrato che la convivenza fra le varie etnie non è impossibile. Artigiani, extracomunitari, prostitute per lo più non siciliane, giovani e anziani condividono minuscoli spazi in pessime condizioni igieniche, cercando di mantenere un equilibrio basato su una tolleranza reciproca.

 

Le poche prostitute ancora presenti lavorano in condizioni proibitive. Per alcune di loro, in mancanza di alternative, fare questo mestiere diventa una necessità. Non riuscendo a guadagnare abbastanza con altri lavori, si prostituiscono per sopravvivere e mantenere i figli che studiano o altri familiari che vivono lontano e non sono a conoscenza della vita che conducono. Per altre invece la prostituzione è il frutto di una libera scelta, dettata dalla volontà di condurre una vita indipendente dal nucleo familiare.

 

A San Berillo una volta coabitavano famiglie di operai e impiegati, gente onesta, artigiani presenti con tante botteghe come la bottega del vino, la salumeria, il fruttivendolo, la vetreria, il piccolo pastificio. In seguito il Comune ha promesso agli abitanti la nascita di un’area artigianale per favorire lo sviluppo di varie realtà lavorative ma nulla è stato fatto. 

 

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