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  • Dario Lo Presti

IL CREPUSCOLO DELLA SICILIA ISLAMICA



La distruzione materiale della cultura araba

Nell’ambito di una manifestazione itinerante per rileggere e riscoprire le vicende storiche degli arabi in Sicilia, si è svolta a Siracusa, presso la Casa del Libro Rosario Mascali, la presentazione di un saggio storico scritto dal giornalista Carlo Ruta dal titolo “Il Crepuscolo della Sicilia Islamica”. I due secoli di storia della Sicilia arabo – islamica non hanno lasciato alcuna traccia materiale e questo fatto di per se è un caso raro se non unico nella storia del Mediterraneo. Le poche tracce rimaste, che richiamano le tecniche e gli stili architettonici arabi in Sicilia, in realtà sono d’epoca normanna in un periodo in cui gli arabi erano ormai un’etnia sottomessa.

Gli arabi hanno colonizzato l’isola per circa tre secoli durante i quali hanno costruito fortificazioni, moschee, pulpiti per le prediche degli imam, palazzi e altre costruzioni civili e monumentali. L’intento era quello di diffondere nel territorio la religione musulmana e la cultura araba. La città di Palermo durante la presenza degli arabi rappresentava l’emblema di questa dominazione. La città aveva molte moschee e si presentava come una delle più importanti capitali del Mediterraneo e centro nevralgico interessato dai grandi commerci di mare. Nel dodicesimo secolo l’isola ha vissuto un ripristino della cristianità fortemente voluto soprattutto dal Pontificato di Roma, il quale per portare a compimento il suo disegno si è servito dall’abilità dei Normanni. La Chiesa pretendeva la conversione degli islamici al cattolicesimo e aveva tutto l’interesse a spingere i cristiani ad alimentare l’odio contro l’etnia araba. I Normanni dimostrarono nel tempo una posizione più ambivalente e per certi aspetti conciliante con gli sconfitti, accontentandosi della loro servile sottomissione. Questo avvenne per diverse ragioni. Agli arabi veniva riconosciuta giuridicamente qualche libertà di culto in cambio del pagamento di tributi, ma soprattutto i Normanni non potevano fare a meno della loro esperienza ed abilità in campo amministrativo. Ciò è testimoniato dal fatto che negli ambienti di corte c’era un forte interesse per la lingua araba e il settore amministrativo era affidato a personale quasi esclusivamente arabo. Ci sono inoltre motivi di natura politica ed economica. La protezione delle etnie sottomesse permetteva ai Normanni di sottolineare ed imporre la loro esclusiva sovranità contro le pretese del pontificato di Roma, che auspicava la totale repressione dei musulmani e il pieno controllo cristiano. Sul piano economico poi erano inGIOCO anche rapporti commerciali tra la Sicilia e i paesi islamici del Maghrib.


Al di là di tutto questo va sottolineato che i Normanni non rinunciarono a commettere azioni repressive ed atti di sterminio sui musulmani, i quali venivano sistematicamente perseguitati ed osteggiati soprattutto dalla nobiltà latina e dall’alto clero dell’isola che non accettava la convivenza con gli “infedeli”. Con il regno di Federico II si decretò la fine della presenza araba in Sicilia. Le abitazioni dei musulmani vennero distrutte, vennero eseguiti stermini di massa e deportazioni a Lucera in provincia di Foggia, dove le comunità superstiti vennero definitivamente eliminate.


La storia ci dice d’altro canto che per quanto riguarda la “reconquista” cristiana della Spagna, altro caso di notevole importanza di colonizzazione araba nella storia, i fatti hanno assunto una piega diversa. Secondo l’autore non c’è dubbio che storicamente la repressione dei moriscos da parte dei re cristiani sia stata altrettanto violenta e distruttiva come in Sicilia. Tuttavia la Spagna ha assunto un atteggiamento di rispetto verso l’etnia araba incoraggiando e favorendo un clima di convivenza e dialogo reciproco. I re cristiani si sono impossessati del mondo arabo senza però distruggere le tracce materiali ma anzi reintegrandole nel nuovo ordine e nel nuovo potere.

Le vicende degli arabi di Sicilia meritano di essere rivalutate e rilette soprattutto alla luce di quanto sta accadendo oggi nel Medio Oriente con la nascita della Stato Islamico, che si prefigge di riunificare il mondo arabo ed opporsi alle democrazie occidentali.

Il Collettivo Scatto Sociale ha intervistato Carlo Ruta sulla situazione odierna in Sicilia, caratterizzata da un clima di convivenza e rispetto tra le comunità locali e la presenza degli arabi.


Scatto Sociale: a fronte di quanto detto sulla ricchezza della colonizzazione araba, se guardiamo al presente con le forti immigrazioni e l’apertura che la Regione siciliana sta dimostrando nei confronti del mondo arabo, realizzando in concreto la costruzione di diverse moschee tra cui quella di Catania che è considerata la più grande del Meridione, lei come legge tutto questo?


Carlo Ruta: Sul discorso delle moschee la mia opinione è altamente positiva. Direi che proprio per l’impegno di riconoscimento di questi secoli della Sicilia araba, che è parte integrante della storia delle popolazioni siciliane, è chiaro che aprire un discorso d’interlocuzione, anche da un punto di vista religioso attraverso la costruzione di moschee, credo abbia una notevole importanza nel senso dell’integrazione.


Scatto Sociale: Si può parlare d’integrazione culturale o più sottilmente di un potere politico che cerca di raggiungere l’Occidente?


Carlo Ruta: Il discorso se ci possono essere in questi processi d’integrazione dei secondi fini io non credo, perché noi dobbiamo tenere presente, e questo i giornali purtroppo non lo dicono, che l’Islam in questo momento è una delle più grandi religioni in assoluto nel mondo che coinvolge un miliardo e mezzo di fedeli. Voi immaginate, se ci fosse un secondo fine, cosa potrebbe essere già accaduto e cosa potrebbe accadere ancora oggi. E’ chiaro che siamo di fronte ad una grande religione di massa e non bisogna guardare alla cultura araba nella sua connotazione esclusivamente fondamentalista e integralista, fondata tra l’altro su una lettura stereotipata del corano. Noi dobbiamo invece renderci conto che siamo di fronte ad una grande cultura che si è espressa anche in Europa, che ha espresso anche valori universali di dialogo e integrazione. Un caso è quello della Cordova dei califfi e degli emiri, in cui effettivamente c’era una simbiosi, una unione tra le varie etnie per un fine comune che era il raggiungimento del benessere sociale. In Spagna si è raggiunto il livello più alto sotto il profilo economico in quel periodo. Basti pensare che all’epoca della colonizzazione araba in Sicilia, la città di Roma aveva quarantamila abitanti mentre Cordova ne contava un milione e duecentomila. Le religioni non devono essere e non sono state sempre un terreno di scontro nella storia, ma anche un terreno di interlocuzione, non solo religiosa ma anche culturale e io direi anche economica, perché un miliardo e mezzo di cittadini islamici danno un contributo notevole alle ricchezze del nostro pianeta.


Articolo redatto e pubblicato per il Collettivo Fotografico Scatto Sociale

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