RIMANERE SE STESSI
RIMANERE SE STESSI
Viviamo in una società in cui è fondamentale non tanto essere se stessi, con i propri pregi e difetti, ma apparire come si vorrebbe essere e come gli altri vogliono che siamo. Il nostro modo di essere, la percezione che abbiamo della nostra identità non sempre ci è gradita, ma quello che probabilmente ci spaventa e/o annoia maggiormente è il nostro essere noi stessi, delle persone normali caratterizzate dalla semplicità e genuinità. Per questo motivo cerchiamo in tutti i modi di falsificare o abbellire la nostra identità agli occhi degli altri conformandoci ai riferimenti che ci vengono imposti dall'esterno per essere socialmente e culturalmente più apprezzabili e desiderabili. Nella società liquida, baumanamente parlando, in cui tutto è indefinibile, mercificabile e soggetto ad obsolescenza, abbiamo perso la capacità di guardarci dentro ed apprezzare la bellezza di essere quello che siamo, perchè non vogliamo avere a che fare con noi stessi, con il nostro vero io. Dal mio punto di vista credo che non ci sia cosa più bella e vera per la crescita di un'individuo che capire come si sia evoluta nel tempo la nostra persona e la percezione che abbiamo della nostra identità. Mi sono servito del linguaggio fotografico per creare un collage realizzato con molti autoritratti scattati nell'arco degli ultimi due anni e mezzo. Il risultato è un mosaico in cui rivedo me stesso in diversi momenti, non quello che vorrei essere. In questo non c'è narcisismo o volontà di nascondere me stesso, come sostiene Roberto Cotroneo nel suo libro "Lo Sguardo Rovesciato". (1) Certamente non posso sapere come mi vedono gli altri, in tal senso ci sarà sempre uno scarto tra il come mi vedo io e il come mi vedono gli altri, aspetto quest'ultimo a cui non attribuisco molta importanza. Da sempre auto fotografarsi è una pratica che risponde all'esigenza di bloccare lo scorrere inesorabile del tempo e con esso il cambiamento della nostra immagine. Stando a quello che sostiene lo psicologo Stefano Ferrari, la pratica dell'autoritratto prevede un'acrobazia psichica, dove il soggetto deve tornare a vedersi come oggetto al contrario di quello che succede quando guardandosi allo specchio vede riflessa un'immagine preconfezionata. (2) Il fatto di riuscire ad autoritrarsi è la prova dell'integrità del nostro io, al di là dei dubbi identitari e della tendenza a sentirsi onnipotenti. Per concludere utilizzare il linguaggio fotografico per auto ritrarmi significa per me avere un rapporto sano e reattivo con la mia identità, perchè sono consapevole che non voglio immaginarmi in maniera diversa da quello che sono, mi ritengo felice e fortunato di come già sono.
Bibliografia
1. R. Cotroneo, Lo Sguardo Rovesciato, vedi p. 117;
2. S. Ferrari, AutoFocus, cit., p. 21.